Sovranità software dell’Europa: ecco come tagliare i cordoni con le big tech


Nel cuore dell’Unione Europea, una voce autorevole si è levata in favore dell’autonomia digitale: la vicepresidente Henna Virkkunen, intervenendo a nome della Commissione Europea, ha evidenziato quanto sia cruciale il tema della sovranità tecnologica in ambito software.

Sovranità tecnologia software, la mossa dell’Europa

La sua affermazione non è un semplice auspicio, ma una presa di posizione che riconosce con lucidità un dato di fatto: nel 2024, il 45% dei software publisher utilizzati dalla Commissione sono statunitensi. Un dato che fotografa senza ambiguità quanto l’Europa sia ancora oggi dipendente da ecosistemi software esterni, con evidenti conseguenze su controllo, trasparenza, interoperabilità e tenuta industriale del continente.

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Mentre i riflettori dei media si accendono su guerre commerciali, investimenti “green” e “intelligenze” artificiali, la Commissione compie un passo apparentemente silenzioso ma di portata strategica fondamentale: riconosce che la battaglia per la sovranità digitale si vince (o si perde) partendo da una delle cose più basilari, il software. Che non è solo strumento da ufficio.

È codice che decide cosa possiamo fare e quando, che raccoglie dati, che abilita servizi essenziali, che si aggiorna in silenzio mentre gli utenti dormono. In questo contesto, il dominio tecnologico extraeuropeo non è solo una scelta di mercato: è una forma implicita di delega della sovranità, spesso inconsapevole, ma concreta nei suoi effetti.

La posizione di Aiip sulla sovranità software

Come Associazione Italiana Internet Provider (AIIP), che rappresenta oltre 60 operatori attivi nel settore della connettività, del cloud e dei data center a livello nazionale, accogliamo con favore questo segnale politico. Da trent’anni l’associazione si batte per un’Internet aperta, pluralista e radicata nelle filiere locali, credendo da sempre nella necessità di investire in soluzioni europee, nella valorizzazione del software libero, nella diffusione di piattaforme sovrane capaci di tutelare i dati e l’autonomia delle imprese, dei cittadini e della pubblica amministrazione.

La dichiarazione della vicepresidente Virkkunen, in risposta a un’interrogazione scritta[1], risuona come una conferma delle battaglie dell’Associazione: al momento non può esistere autonomia strategica europea se le infrastrutture software fondamentali sono controllate da soggetti extra-UE. La capacità di sviluppare e manutenere soluzioni digitali sicure proprie è essenziale per la resilienza a lungo termine e strumento per avere autonomia strategica e competitività digitale.

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Se il quadro valoriale minimo per tutto il software pubblico è trasparenza del codice, auditabilità, interoperabilità, portabilità, controllo locale dei dati e rispetto delle libertà fondamentali, rileviamo con soddisfazione la crescente valorizzazione di questi principi, sviluppati con la collaborazione della community open source europea e delle PA nazionali, da parte della Commissione, auspicando che siano posti a fondamento di tutte le nuove policy in materia di digitalizzazione pubblica. Si tratta di un passo concreto verso ciò che AIIP auspica da tempo: un quadro normativo europeo che riconosca nell’open source qualcosa di più dell’essere un’opzione tecnica, ovvero essere un vero e proprio pilastro strategico per la sovranità digitale.

Per questo AIIP chiede con forza che tali principi diventino vincolanti anche nei progetti nazionali: è opportuno che si utilizzino fondi europei per affidare a vendor extra-UE lo sviluppo di piattaforme critiche? La coerenza tra obiettivi dichiarati e scelte industriali è oggi il metro di giudizio dell’efficacia politica. E AIIP, con i suoi associati che già realizzano infrastrutture sovrane e servizi digitali localizzati in Italia, è pronta a fare la propria parte.

L’Europa può ricostruire un’autonomia tecnologia reale nel software

L’idea di base è chiara: non si può pensare di colmare oggi il ritardo sull’hardware (come nel campo dei semiconduttori), ma possiamo e dobbiamo agire ora sul software. È nel software che l’Europa può ricostruire un’autonomia reale e diffusa: sono necessari incentivi mirati, partnership industriali pubblico-private, standard europei interoperabili, programmi di formazione avanzata e un’azione decisa per abbandonare progressivamente soluzioni proprietarie e chiuse. È ora che i documenti della pubblica amministrazione vengano redatti, conservati e gestiti con strumenti open-source.

È tempo che i sistemi gestionali scolastici, sanitari, previdenziali e giudiziari adottino piattaforme europee e scalabili. È doveroso che l’identità digitale, l’autenticazione, la firma elettronica, la PEC e i wallet europei siano realmente autonomi e non appoggiati su stack proprietari.

Non si tratta solo di protezione dei dati o di cybersecurity, è una questione di democrazia economica, di trasparenza istituzionale e di tutela del pluralismo industriale. Il software non è un semplice strumento neutro: incarna modelli di governance, abilitazioni e vincoli. Se tutta la PA europea utilizzasse in modo sistematico unicamente software proprietario, e il cittadino non potesse neanche leggere un documento pubblico senza installare un client commerciale specifico, magari impossibilitato ad utilizzare un qualsiasi dispositivo a sua scelta – che un terzo può rendere artificiosamente obsoleto – la sovranità sarebbe un’illusione.

Strategia di AIIP, EuroISPA ed Ecta per la sovranità software

AIIP, anche attraverso la propria azione nelle associazioni europee di settore, EuroISPA ed ECTA, sta promuovendo da tempo una strategia di transizione al software open source, sostenibile, federato e controllabile. L’invito da rivolgere alla Commissione è quello di procedere in coerenza con questa visione, proponendo e rafforzando misure legislative e operative che facilitino la migrazione a infrastrutture software europee: occorre una nuova “strategia industriale per il software europeo”. In un mare di “urgenze” che non sono assolutamente tali, questo è il vero nodo del digitale.

Occorre sostenere economicamente chi sviluppa, chi integra, chi documenta e chi supporta progetti open source. Occorre una revisione dell’approccio cloud nella PA, partendo dal principio per cui i dati sensibili devono essere tecnicamente e giuridicamente sotto controllo e nella piena disponibilità – anche fisica – di chi ne è proprietario.

La Bussola Digitale 2030 ha come obiettivo quello di rendere l’Europa tecnologicamente indipendente e competitiva: l’unico modo per rendere concreto questo scenario è partire da ciò che oggi è già disponibile: comunità open-source, piattaforme software europee, ecosistemi cloud locali, operatori nazionali. E costruire su di essi le fondamenta di un’Europa realmente digitale, realmente sovrana.

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Non possiamo continuare a gestire le nostre identità, i nostri fascicoli sanitari e le nostre decisioni su server, codici e piattaforme controllate da pochi soggetti fuori dai nostri confini. Non possiamo delegare la gestione del nostro futuro tecnologico a chi, pur in piena legittimità, persegue interessi diversi dai nostri.

L’indipendenza tecnologica non è un atto isolato, né una crociata ideologica. È una necessità industriale, una garanzia democratica e una questione di buon senso. E, come spesso accade nelle grandi trasformazioni, tutto inizia con il software.


[1] https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/E-10-2025-001618-ASW_EN.html



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