Lavoro intermittente dopo l’abrogazione del R.D. 2657/1923


Nato per offrire flessibilità, il lavoro intermittente si confronta oggi con vuoti normativi e regole superate. L’evoluzione legislativa ha lasciato zone d’ombra che creano incertezza per imprese e lavoratori. Quali sono i rischi concreti? E perché una riforma non è più rinviabile?

Lavoro intermittente: tra flessibilità operativa e incertezza normativa

lavoro intermittenteL’evoluzione della disciplina del lavoro subordinato nel nostro ordinamento ha conosciuto, soprattutto a partire dagli anni duemila, un processo di progressiva articolazione di forme contrattuali volte a garantire margini di flessibilità organizzativa alle imprese, conciliando tale esigenza con le tutele inderogabili riconosciute al lavoratore; in questo contesto, il contratto di lavoro intermittente, conosciuto anche come lavoro a chiamata o, mutuando la terminologia anglosassone, job on call, rappresenta una delle espressioni più peculiari di tale flessibilità, proprio per la sua vocazione a regolare prestazioni caratterizzate da essenzialità saltuaria, discontinuità o alternanza tra tempi di attesa e momenti di effettiva attività.

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La peculiarità del lavoro a chiamata: un equilibrio tra esigenze produttive e tutela minima

In termini generali, nel rapporto di lavoro subordinato classico la durata del contratto e la durata della prestazione coincidono: il lavoratore è tenuto a rendere la propria attività per l’intero arco temporale del rapporto, salvo sospensioni legittime o interruzioni disciplinate dalla legge.

Nel lavoro intermittente, al contrario, questa corrispondenza viene intenzionalmente scissa: il contratto vincola le parti per un periodo di tempo che può anche essere determinato o indeterminato, ma la prestazione lavorativa si realizza solo quando il datore di lavoro esercita il potere di “chiamata”, dando avvio a singoli periodi di attività, intervallati da fasi di inattività.

Questa caratteristica riflette l’esigenza di offrire alle imprese uno strumento operativo in grado di rispondere a fabbisogni produttivi non continuativi o imprevedibili, riducendo al minimo i costi del lavoro nelle fasi di inattività. Per il lavoratore, tuttavia, ciò implica una condizione di particolare incertezza reddituale, giusti

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