Global Tax, il compromesso del G7: esenzione alle multinazionali Usa in cambio dello stop alle ritorsioni di Trump


l G7 ha trovato un’intesa tanto attesa quanto delicata: una revisione sostanziale della Global Minimum Tax, con forti concessioni agli Stati Uniti, in cambio del congelamento delle misure punitive previste dal famigerato “Obbb Act”, l’iniziativa legislativa spinta da Donald Trump per colpire le aziende straniere attive sul territorio americano. Al centro dell’accordo, una sostanziosa esenzione per le multinazionali a stelle e strisce che le libera da due cardini fondamentali del secondo pilastro del progetto fiscale dell’OCSE: la Income Inclusion Rule (IIR) e la Undertaxed Profits Rule (UTPR). In altre parole, le imprese americane non saranno più soggette alle regole chiave della tassazione minima globale.

Per Washington si tratta di un successo strategico. Per gli altri Paesi, una mossa necessaria per evitare la valanga di ritorsioni che l’Obbb Act minacciava contro chi applica imposte “discriminatorie” nei confronti dei contribuenti americani. Il presidente Trump, solo pochi giorni fa, aveva avvertito con tono perentorio: “Gli europei impareranno a non essere cattivi con noi”. Le parole, rilasciate con l’usuale brutalità diplomatica, hanno trovato nelle ore successive un riscontro concreto con l’accordo del G7 che, di fatto, mette temporaneamente al sicuro centinaia di aziende europee da misure fiscali aggressive.

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Per l’Italia, e in particolare per il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, il risultato è una “soluzione di compromesso onorevole”. Il prezzo, certo, è alto, ma consente di mettere al riparo le imprese italiane da ritorsioni automatiche e poco negoziabili. Giorgetti insiste sulla necessità di “favorire il dialogo” e di proseguire nel percorso di convergenza internazionale, indicando anche il fronte dei dazi come prossimo nodo da sciogliere. Non a caso, proprio l’Italia, insieme al Regno Unito, si è già mossa da settimane per cercare un’intesa in chiave bilaterale con Washington su un tetto massimo del 10% sui dazi reciproci, nel tentativo di prevenire nuovi shock per i mercati.

Il contesto resta però fluido e, per molti aspetti, instabile. L’accordo raggiunto al G7 dovrà ora passare al vaglio dell’Inclusive Framework dell’OCSE, dove siedono 147 Paesi. Solo il via libera di questo organismo multilaterale renderà effettivo il compromesso, che per ora ha il sapore di un armistizio più che di una pace fiscale duratura.

Dal punto di vista strutturale, la rinuncia ai due pilastri della Global Minimum Tax per le multinazionali americane rappresenta una deroga significativa al modello fiscale immaginato nel 2021. Allora, sull’onda dell’amministrazione Biden, si cercava di imporre un argine all’erosione fiscale globale, obbligando le grandi aziende a pagare almeno una quota minima di imposte ovunque operassero. Ma con l’avvento di Trump e con l’aumento della pressione politica interna negli USA, la rotta è cambiata.

Il compromesso, che ha come perno il cosiddetto modello “side-by-side” proposto proprio dall’amministrazione Trump, rischia però di avere effetti a catena. Uno di questi riguarda direttamente le Digital Tax nazionali, come quella italiana. Nate come misura transitoria in attesa della piena entrata in vigore della Global Tax, le imposte digitali sono sempre state invise a Washington, che le ha interpretate come un attacco diretto ai colossi americani del tech. In questo nuovo contesto, è plausibile aspettarsi nuove pressioni per smantellare anche queste forme di tassazione domestica.

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Intanto, sul fronte dei dazi, si avvicina una scadenza cruciale: il 9 luglio. Entro quella data molti Paesi, tra cui l’Italia, puntano a chiudere una serie di accordi per evitare il ritorno di guerre commerciali simili a quelle che hanno agitato i mercati globali nel precedente mandato di Trump. Il tempo stringe, le trattative sono in corso e i mercati osservano con crescente nervosismo ogni segnale di escalation.

In definitiva, l’intesa del G7 segna un passaggio importante nella riorganizzazione delle regole fiscali internazionali, ma apre al contempo interrogativi politici ed economici di lungo periodo. La cooperazione multilaterale resta appesa a un filo sottile, tesa tra il bisogno di stabilità e la realtà di un mondo in cui i grandi attori – a cominciare dagli Stati Uniti – dettano sempre più spesso le condizioni.

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