Francia. Nel mirino della speculazione: tra fragilità interna e appetiti globali


di Giuseppe Gagliano

Il rischio di un attacco speculativo contro la Francia non è più una semplice ipotesi. La recente impennata dello spread tra i titoli decennali francesi e quelli danesi, passato in poche settimane da 0,65 a 0,80 punti percentuali, racconta la perdita di fiducia crescente da parte dei mercati verso la solidità finanziaria di Parigi. Alcuni osservatori notano con inquietudine che per alcune scadenze la Francia si trova già a finanziare il proprio debito a condizioni simili a quelle dell’Italia e persino peggiori rispetto alla Grecia. Un segnale di allarme che arriva in un contesto di tensioni sociali latenti, crescita economica stagnante e una leadership politica che fatica a offrire una visione strategica.
Se l’estate 2024 aveva visto la dissoluzione parlamentare, l’estate 2025 rischia di essere ricordata come il punto di rottura tra la Francia e gli investitori globali. Le misure fiscali annunciate dal governo, oltre 20 miliardi di euro in nuove imposte dirette e indirette, sono percepite più come una mossa difensiva che come un piano strutturale per rilanciare l’economia. La Francia, seconda economia dell’Eurozona, rischia di trasformarsi da pilastro della stabilità europea a epicentro di una crisi sistemica.
L’attacco speculativo, se si concretizzasse, troverebbe un terreno fertile. La combinazione di deficit elevato, debito pubblico superiore al 110% del PIL e un rallentamento industriale strutturale rende la Francia vulnerabile agli umori dei mercati. La perdita di oltre venti siti industriali solo nel primo semestre 2025 ha aggravato l’erosione della capacità produttiva nazionale, accrescendo la dipendenza dalle importazioni e quindi l’esposizione a shock esterni.
Un peggioramento delle condizioni finanziarie avrebbe conseguenze immediate: aumento dei tassi sui prestiti, crisi di liquidità per le imprese, nuovi tagli al welfare e un’inevitabile fiammata della protesta sociale. Ma avrebbe anche effetti di lungo periodo sul ruolo geopolitico della Francia, sempre più incapace di sostenere le proprie ambizioni in politica estera.
Questa fragilità economica si riflette sul piano militare. Parigi, che aspira a mantenere una postura di potenza globale, vede ora messa in discussione la sostenibilità delle proprie proiezioni di forza. La capacità di finanziare operazioni oltre i confini nazionali, dalla regione del Sahel al Pacifico, potrebbe ridursi drasticamente. Già la missione Barkhane ha evidenziato le difficoltà di un esercito che, pur avanzato tecnologicamente, soffre di limiti logistici e finanziari.
Un collasso finanziario spingerebbe la Francia a ritirarsi da diversi scenari esterni, lasciando spazi vuoti pronti a essere riempiti da altri attori. La Cina potrebbe consolidare la propria influenza in Africa, mentre la Russia avrebbe mani più libere nel Mediterraneo. Anche gli Stati Uniti, pur legati a Parigi dall’alleanza atlantica, potrebbero rivalutare l’affidabilità di un partner in crisi.
L’impatto geopolitico di una Francia indebolita sarebbe devastante per l’Europa. La Germania, già impegnata a tenere insieme un’Eurozona in difficoltà, si troverebbe isolata nel gestire il contraccolpo finanziario. L’Italia e la Spagna, con economie più fragili, rischierebbero di essere travolte dall’ondata speculativa. L’euro, già sottoposto a pressioni, potrebbe perdere terreno come valuta di riserva globale a vantaggio del dollaro e, in prospettiva, dello yuan cinese.
Sul piano geoeconomico, le potenze emergenti potrebbero sfruttare la debolezza francese per acquisire asset strategici. Fondi sovrani del Golfo e conglomerati asiatici sono già in posizione per approfittare di eventuali svendite del patrimonio industriale e infrastrutturale francese.

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