Fondi, favori e silenzi: dentro il caso Galvagno che scuote la Regione Siciliana


PALERMO –  Mentre la città è attraversata dal respiro antico e popolare dei festeggiamenti per Santa Rosalia, dentro le stanze del potere si consuma un’altra liturgia: quella della tensione. Nei corridoi di Palazzo dei Normanni non si c’è musica, ma il sussurro delle porte che si chiudono lentamente, le telefonate che cadono nel vuoto, gli sguardi bassi. E la storia che si racconta oggi ha il passo della cronaca e l’ombra del giallo.
Tutto comincia nell’estate del 2024, quando l’Ars approva in piena calura un maxiemendamento da 70 milioni di euro. La distribuzione delle somme – 7 milioni alla maggioranza, 4 all’opposizione – avviene senza atto formale, senza discussione pubblica. Solo fogli scritti a mano, passati di banco in banco. È l’origine del caso.

Cerimoniale, staff e prime ombre interne
Nel gennaio 2025 le attenzioni si spostano sul cerimoniale dell’Ars. Si indaga su eventi, spese, forniture. Emergono i nomi dei collaboratori di Galvagno, in particolare quello della sua portavoce, Sabrina De Capitani. Nessuna accusa formale, ma la sua figura si sovrappone a quella dei passaggi chiave: relazioni istituzionali, comunicazione, gestione degli inviti.
Il 13 luglio, un’inchiesta giornalistica attribuisce a Manlio Messina, ex assessore al Turismo oggi deputato alla Camera per Fratelli d’Italia, il ruolo dell’enigmatico “Uomo 6”, citato nelle carte delle indagini.

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Il collegamento con Amata e la svolta sugli intrecci
È così che l’inchiesta, partita dal rapporto tra Galvagno e la sua portavoce, comincia ad allargarsi. Emergono interessi che superano i confini dell’Ars: attori già noti all’indagine, come l’ex assessore al Turismo e l’imprenditore legato al comparto edilizio, si intrecciano a nuovi filoni. Al centro, i finanziamenti pubblici destinati a fondazioni come Bellisario e Dragotto. Le intercettazioni delineano una rete che, tramite De Capitani, collega l’Assemblea regionale all’assessorato al Turismo guidato da Elvira Amata. È proprio con lei che il caso si amplia ulteriormente: dai fondi agli eventi culturali, si passa alla presunta assunzione del nipote dell’assessora, suggerita come contropartita per l’erogazione di contributi regionali.

La figura di Sabrina De Capitani si fa centrale. Ex giornalista e attuale portavoce del presidente Galvagno, il suo ruolo nel cerimoniale dell’Ars non è solo di rappresentanza. È lei, secondo le intercettazioni, a gestire la regia di molte relazioni trasversali tra politica, imprese e istituzioni. La sua voce compare nelle conversazioni con l’imprenditore Vincenzo Marchese Ragona, in cui si discute di progetti edilizi, hotel, campo da golf e finanziamenti da pilotare. Ragona, presentato come “l’uomo del territorio”, fa da ponte tra stanze di potere e operazioni immobiliari in cerca di coperture istituzionali. I contorni sfumano, i ruoli si confondono.

L’episodio privato che cambia la prospettiva
Nel frattempo dalla stampa si apprende anche che durante una perquisizione nell’abitazione della portavoce De Capitani – all’epoca convivente di Galvagno – viene trovata una modica quantità di hashish in un trolley. Lei nega, ma viene segnalata alla Prefettura. L’episodio, pur non avendo rilievo penale, incide sul piano politico e umano. Galvagno, che solo l’anno scorso aveva fatto un test antidroga in diretta come segno di trasparenza, si ritrova ancora nell’occhio del ciclone.

L’attesa e il finale sospeso
Oggi, mentre le strade di Palermo brillano per la Santuzza, nei palazzi del potere tutto tace. I dipendenti entrano ed escono in silenzio. Si sussurra di lettere di dimissioni già scritte, poi smentite. Le sedute dell’Assemblea vengono rinviate, rinviate, congelate. Nessuna dichiarazione ufficiale, nessun provvedimento. E le parole, più che sussurrate, si trattengono tra i denti.
Fuori, la Sicilia aspetta, ma per ora non c’è nulla. Solo una trama che, ancora una volta, in Sicilia, pare destinata a rivelare se stessa solo a cose già compiute.

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