AGI – Un colpo “durissimo”, da “ko tecnico”, che “mette a rischio l’export italiano” a partire dalle filiere agroalimentari, passando per la farmaceutica, il vino e l’automotive. Quasi “un embargo”. Le associazioni datoriali lanciano l’allarme dopo la lettera del presidente Usa Donald Trump alla presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyden che annuncia l’imposizione dal 1 agosto di dazi del 30% da parte degli Stati Uniti sulle merci Ue. I comparti produttivi italiani con maggiore vocazione all’export chiedono alle istituzioni comunitarie e al governo di agire con una voce unica ed evitare una guerra commerciale che potrebbe avere effetti devastanti per entrambe le sponde dell’Atlantico. Lo shock del mondo industriale e artigianale riguarda soprattutto l’ammontare della tariffa al 30%, ben più alta del 10% o del 17% di cui si era ipotizzato nelle ultime settimane di mediazione tra Usa e Ue. Ora la preoccupazione si concentra sulle le ricadute commerciali e il conseguente rischio sulla stabilità occupazionale.
Orsini: “Serve calma”
Il presidente di Confindustria Emanuele Orsini predica calma e la via del dialogo, visto che l’amministrazione Trump già negli scorsi mesi ha provveduto ad annunciare pesanti tariffe per poi fare anche dei parziali passi indietro. “Ora serve mantenere tutti la calma e avere i nervi saldi. Non possiamo compromettere i nostri mercati finanziari. E’ ovvio che la lettera arrivata dagli Stati Uniti è una sgradevole volontà di trattare”. Nei giorni scorsi Confindustria ha stimato che dazi al 10%, uniti alla svalutazione del dollaro, comporterebbero un impatto reale del +23,5% sui prezzi dei prodotti italiani, con una perdita ipotizzata di 20 miliardi di export e 118mila posti di lavoro entro il 2026. La Cgia invece, prima dell’annuncio di Trump, ha calcolato su elaborazioni Ocse che con dazi al 20% il danno economico ammonterebbe fino a 12 miliardi di euro.
Preoccupa il vino
Il settore che manifesta le maggiori preoccupazioni è quello della produzione di vino. “E’ bastata una lettera per scrivere la pagina più nera dei rapporti tra due storici alleati dell’Occidente. Il 30% di dazio sul vino sarebbe quasi un embargo per l’80% del vino italiano“, commenta il presidente di Unione italiana vini, Lamberto Frescobaldi. L’Uiv stima che l’export di vino italiano verso gli Stati Uniti vale circa 2 miliardi di euro, pari al 24% dell’export totale di bottiglie. Di conseguenza, il vino italiano è più esposto al mercato statunitense rispetto alla Francia (dove la quota Usa è al 20%) e alla Spagna (11%).
Il vino italiano rappresenta il 40% dell’export totale dell’Ue verso gli Stati Uniti. La gran parte dei consumi di vino negli Usa è rappresentata da prodotti domestici, valgono il 70% dei volumi consumati. Federvini esprime “profonda preoccupazione” per “una misura gravissima e ingiustificata, che rischia di compromettere un equilibrio costruito nel tempo, fondato sulla fiducia reciproca, sul dialogo commerciale e sulla condivisione di valori tra partner storici”. Per il presidente Giacomo Ponti: “è in gioco la sopravvivenza di migliaia di imprese e la stabilità di un ecosistema che ha generato valore e occupazione su entrambe le sponde dell’Atlantico. Occorre agire subito, con spirito costruttivo, visione strategica e una voce europea forte e coesa”.
Coldiretti: “Costi per oltre 2,3 miliardi”
In allarme anche il comparto agricolo. I dazi al 30%, stima Coldiretti, potrebbero costare alle famiglie statunitensi e all’agroalimentare italiano oltre 2,3 miliardi di euro. L’associazione ricorda che le tariffe aggiuntive imposte dal tycoon nel suo primo mandato avevano portato a un calo delle vendite a doppia cifra per i prodotti colpiti.
“Sarebbe un colpo durissimo all’economia reale, alle imprese agricole che lavorano ogni giorno per portare qualità e identità nel mondo, ma anche ai consumatori americani, che verrebbero privati di prodotti autentici o costretti a pagarli molto di più oltre ad alimentare il fenomeno dell’italian sounding”, sostiene il presidente di Coldiretti Ettore Prandini.
Grana Padano a 50 dollari al chilo
Per il Consorzio Grana Padano, ad una prima stima “il dazio ora salirebbe a circa 10 dollari al chilogrammo di Grana Padano. Ma gli importatori e i distributori americani mettono in vendita al consumatore il Grana Padano moltiplicando per 2 il prezzo di partenza e i costi logistici. Un dazio aggiuntivo del 30% che porterà quello totale al 45%, il prezzo al consumo supererà ampiamente i 50 dollari al chilogrammo“. La Confcommercio fa appello alla alla Commissione ed al Governo italiano “ad esplorare strenuamente ogni ulteriore possibilità di negoziato. Insomma: negoziare, negoziare, negoziare”.
Mentre Federmoda ricorda che nel 2024 il settore tessile abbigliamento ha esportato verso gli Stati Uniti beni tessili e di abbigliamento per oltre 2,75 miliardi di euro. “è il terzo mercato di sbocco per l’export del comparto”, specifica Luca Sburlati, presidente di Confindustria Moda. Infine FederlegnoArredo con il presidente Claudio Feltrin chide: “Fermezza, calma e diplomazia” dopo “l’ ennesimo attacco della presidenza Usa a tutto il sistema produttivo europeo che sarebbe pesantemente colpito dall’applicazione della misura, compreso il settore del legno-arredo che ha, proprio negli Usa, il secondo mercato di export”.
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