Divella: «I dazi? Il maggior danno dalla svalutazione del dollaro: a rischio il sistema Made in Italy»


di
Valentina Iorio

Il patron dell’azienda pugliese: «Se l’euro dovesse salire a 1,20 dollari sarebbe un altro dazio del 17% di fatto. E ricadrebbe interamente sulle imprese italiane»

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Per la pasta gli Stati Uniti sono il primo mercato di sbocco extra-Ue con 327mila tonnellate e un fatturato di quasi 700 milioni. Il gruppo pugliese Divella la esporta in oltre 130 Paesi e ha chiuso il 2024 con 370 milioni di euro di fatturato. 

Vincenzo Divella, quanto vi preoccupa la minaccia di Trump di imporre dazi del 17% sull’agroalimentare?
«L’ipotesi di un innalzamento al 17% delle tariffe per l’agroalimentare sarebbe difficile da sostenere per molte imprese, in particolare per settori come il vino o l’olio. Per la pasta invece è diverso, innanzitutto per le caratteristiche del nostro prodotto, che è poco costoso e molto popolare. Anche con dazi superiori al 10% l’aumento sarebbe di qualche centesimo, quindi sopportabile».




















































All’effetto dei dazi però si somma quello della svalutazione del dollaro che è arrivata al 13,5%.
«Questa è in assoluto la cosa che ci preoccupa di più e che mette a rischio tutto il sistema. Se l’euro dovesse salire a 1,20 dollari sarebbe un altro dazio del 17% di fatto. E, in questo caso non potremmo dividerlo con gli importatori ma ricadrebbe tutto su di noi».

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Come state gestendo con gli importatori americani le tariffe del 10% già in essere? Che accordi avete preso?
«I nostri clienti sono stati bravissimi, hanno capito la situazione e stiamo ammortizzando il 10%, accollandoci metà della spesa ciascuno. Siamo intervenuti sulle rispettive marginalità in modo da evitare un incremento di prezzi eccessivo per i consumatori americani».

Il deprezzamento del dollaro sta portando a un calo dei prezzi del grano duro sui mercati internazionali. Questo può aiutarvi a compensare, almeno in parte, gli effetti della svalutazione?
«Sì, può contribuire a limitare il danno. Anche se il discorso non vale per tutte le aziende, c’è chi produce con solo grano duro italiano, che comunque non è sufficiente a soddisfare la domanda. Se il prezzo della materia prima scende, importare dal Canada o dagli Usa costa meno. Con un cambio euro-dollaro a 1,20 significherebbe risparmiare 4-5 euro a quintale. Ma se è vero che importare costa meno, esportare costa molto di più. E noi esportiamo in dollari in moltissimi Paesi, non solo negli Usa».

Cosa vi aspettate dal negoziato tra l’Unione europea e gli Stati Uniti?
«Speriamo in un accordo. È tempo che gli americani aprano gli occhi, i dazi danneggiano soprattutto loro. Anche perché spingono le aziende a non investire negli Stati Uniti. Se va avanti così rischiano la recessione».


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7 luglio 2025

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