Trasparenza salariale, ma non del tutto. Entro giugno 2026, in Italia, come nel resto dell’Unione europea, si dovranno recepire le norme sulla Ue che cancellano il segreto salariale. Regole introdotte due anni fa per cercare di fronteggiare il forte divario in busta paga che esiste in Europa tra donne e uomini.
Con la Direttiva Europea 2023/970, le imprese dovranno quindi rendere noti a tutto il personale gli stipendi medi dei colleghi di uguale mansione, suddivisi per genere e ruolo. Una normativa che può rappresentare una svolta nella battaglia contro il “gender pay gap“, nella quale però non mancano punti controversi.
Le norme sulla trasparenza salariale
Dall’anno prossimo la direttiva Ue vieterà il segreto salariale in vigore in Italia, il dovere da parte del datore di lavoro di mantenere la riservatezza sulla busta paga dei dipendenti.
Nello specifico le nuove norme europee garantiscono a lavoratori, lavoratrici, sia del settore pubblico che del settore privato, e ai loro rappresentanti, il diritto a chiedere informazioni chiare ed esaurienti sui livelli retributivi medi della categoria di appartenenza o di quella in cui rientrano colleghi con compiti analoghi.
L’azienda o ente pubblico dovrà rispondere alla richiesta entro due mesi e se il riscontro dovesse risultare incompleto o impreciso, il dipendente potrà sollecitare dati più dettagliati e puntuali.
Inoltre, il datore di lavoro avrà l’obbligo di informare il candidato sulla retribuzione iniziale prima dell’assunzione e non potrà chiedergli lo stipendio percepito nel precedente lavoro.
Non da ultimo, nel contratto non potranno essere inserite clausole che impediscano al dipendente di rivelare la propria retribuzione e il datore di lavoro è tenuto a ricordare almeno una volta all’anno che tutto il personale ha il diritto di rendere noto il proprio stipendio.
Cosa cambia: i punti controversi
L’obiettivo principale della direttiva è di abbattere il divario salariale di genere, che in Europa si traduce nel 12% di retribuzione oraria lorda in meno delle donne rispetto agli uomini, secondo i dati Eurostat aggiornati al 2023.
In questa classifica l’Italia si attesta molto al di sotto della media Ue, al 2,2%, ma secondo il Global Gender Gap report 2025 redatto World Economic Forum, il nostro Paese è al 79esimo posto su 148.
Nella normativa Ue si nascondono però potenziali lacune che potrebbero essere utilizzate in sede di controversia tra lavoratrici e lavoratori e datori di lavoro.
Innanzitutto i dipendenti non potranno chiedere nel dettaglio lo stipendio di un collega e le retribuzioni medie che hanno diritto di conoscere potrebbero essere falsate da una busta paga più alta o più bassa di un dipendente con la stessa mansione.
Anche la definizione di “categoria” potrebbe essere fuorviante, stante la facoltà dell’impresa di stabilire mansioni specifiche.
Inoltre, l’azienda potrà continuare a fissare stipendi diversi ma dovrà giustificare “i criteri oggettivi e neutri sotto il profilo del genere” alla base di queste differenze nelle politiche retributive tra lavoratori. Rimane da stabilire quali siano questi criteri.
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