Il mercato digitale vale in Italia 81.167 miliardi di euro. A definire la cifra è stata la 56esima edizione del rapporto Il digitale in Italia curato da Anitec-Assinform, l’associazione italiana per l’ICT, presentato a Roma a inizio luglio 2025. E le proiezioni parlano di uno sforamento del tetto dei 93 miliardi entro il 2028. Non solo, ma la crescita del comparto viaggia a un ritmo superiore rispetto a quello del Prodotto interno lordo (che si attesta intorno all’1%): il digitale è cresciuto del 3,7% nel 2024 (nel 2023 si era fermato a +2,1%).
Come sempre è utile andare a fondo dei numeri per comprendere meglio il settore. Guardando all’Intelligenza Artificiale (AI), per esempio, la crescita è stata del 38,7% tra il 2023 e il 2024, per un valore globale che ha superato i 900 milioni di euro. Eppure a fare uso dell’AI sono soprattutto i big: è utilizzata solo dall’8,2% delle imprese italiane con almeno 10 dipendenti (è utile ricordare che l’Italia è composta da Piccole e medie imprese: sono 4,9 milioni su complessivi cinque). Da qui si evince – come ha fatto emergere il rapporto – che c’è un rischio di “potenziale inespresso” legato all’AI.
A rallentare l’AI è la sua necessità di infrastrutture, come ha fatto notare alla presentazione del rapporto, Massimo Dal Checco, Presidente di Anitec-Assinform. Ed è qui i nodi vengono al pettine: il pensiero va ai data center, che rappresentano la linfa vitale per la tecnologia. Se in Germania ce ne sono 540 e in Inghilterra 523, in Italia se ne contano appena 157… “Per ogni euro investito nei software, ce ne vogliono due a livello di infrastrutture” è la considerazione di Dal Checco.
Poi c’è la spesa legata all’energia, ben sapendo che i data center sono tra le strutture più energivore. In questo caso la ricerca è già all’opera da tempo per trovare le soluzioni e qualcosa pare si stia muovendo: “Quanto attiviamo il cervello noi umani consumiamo circa 20 watt, al pari di una lampadina” ha detto Mario Nobile, Direttore Generale Agid, il soggetto attuatore di progetti del Piano nazionale di ripresa e resistenza (Pnrr). “Non è però che i neuroni si utilizzano sempre; con la neuromorphic computing si sta pensando a come fare lo stesso e quindi smuovere i chip solo quando ce n’è bisogno”. Gli esiti si vedranno. Ma le criticità non si esauriscono in questo.
Troppa burocrazia e assenza di un piano
Tra i messaggi principali lanciati da Dal Checco c’è quello di realizzare una programmazione proiettata sui tre e i cinque anni sui data center: “Occorre una visione perché non basta la volontà di costruirli”. Bisogna invece capire tutto il contorno: “Dove li mettiamo, come li distribuiamo, come trasmettiamo i dati e quindi se funzionano le reti di connettività. E ancora il tema satelliti”. Va fatto insomma un piano completo, con punti chiari e trasparenti e senza troppa burocrazia per accedere. E qui c’è un altro scoglio, per il Presidente di Anitec-Assinform: “Quando ci si scontra con la macchina statale e si sbaglia, talvolta poi bisogna passare per le forche caudine e le PMI preferiscono rinunciare piuttosto che rischiare”.
Capitolo a parte merita la cybersecurity, questione che ha ormai assunto un certo interesse, visto che gli investimenti sono cresciuti del 12%, anche a seguito dell’aumento degli attacchi. A evidenziarlo è stato Giancarlo Capitani, Presidente onorario NetConsulting cube, che ha evidenziato come nel 2024 ci sono stati 357 attacchi, pari a un incremento del 60%. Tra i settori più virtuosi in questo ambito è quello finanziario, anche a seguito dell’introduzione del Digital operational resilience act (Dora), il regolamento europeo che stabilisce per legge il quadro vincolante per la gestione del rischio nell’ITC. Ci sarebbero poi gli investimenti della Difesa: “Nel 5% delle spese difensive di cui si sta parlando, almeno un 1,5% dovrà attenere alla cybersicurezza”, è la tesi di Capitani.
Accelerare l’attuazione del Pnrr
Nonostante gli investimenti fatti nel digitale – è il caso della Pubblica amministrazione (Pa) con il Pnrr – c’è il rischio che i progetti resino ‘lettera morta’. Ecco perché l’invito di Anitec-Assinform è di creare consapevolezza nei giovani su come operare con le nuove tecnologie sin dalla scuola primaria, senza però creare una distanza eccessiva tra teoria e pratica. “C’è un’incapacità di incorporare l’innovazione nei processi dovuta a una mancanza evidente di competenze”, ha detto Dal Checco.
Come nel privato, poi, anche nel pubblico si riscontrano le stesse dinamiche in ambito digitale: i grandi riescono a innovare, i piccoli meno. Non a caso quanto a implementazione dell’AI, nella Pa centrale si arriva al 28,6%, che diventa appena il 7% in Regioni e Comuni. Ma che cosa succederà quando le risorse del Pnrr si esauriranno? Il timore è che la spinta si affievolisca. La questione riguarda soprattutto la digitalizzazione della Pa, a cui il Piano dedica la specifica Missione 1.
I progressi finora ci sono stati, ma la spesa effettiva si è fermata al 23% dei fondi disponibili. Il 2026 nel frattempo si avvicina, e di conseguenza il termine per l’attuazione del piano. “È in arrivo la terza rata da 17 miliardi di euro, ma per la crescita c’è bisogno di più tempo”, ha ricordato Dal Checco. L’auspicio, per mitigare i ritardi, è che ci sia una proroga nelle scadenze. Chissà se a Bruxelles la pensano allo stesso modo…
Giornalista professionista, classe 1981, di Roma. Fin da piccola ha avuto il pallino del giornalismo. Raccontare i fatti che accadevano, quale mestiere poteva essere più bello di così? Laureata in Giurisprudenza alla Sapienza nel 2006 con un Erasmus a Madrid. Nel 2009 ha conseguito il master in Editoria, giornalismo e management culturale, di nuovo alla Sapienza. Nel mentre gli stage (Associated Press, Agi e Adnkronos) e i primi articoli per i giornali, quasi sempre online. All’inizio si è occupata di cultura e spettacoli, con il tempo è passata a temi economici, soprattutto legati al mondo del lavoro. Che è il settore di cui si occupa principalmente anche oggi.
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