Una vita tra Tel Aviv e Houston. «Ho studiato geopolitica. Devi conoscere il mondo se vuoi guidare una startup»


Valentina Garonzi, Ceo di Diamante, ci ha raccontato il suo percorso internazionale di imprenditrice e le continue connessioni con il mondo americano. Pochi giorni fa era a Boston. «La città più importante per il biotech negli Stati Uniti». Benvenuti nella nuova puntata della rubrica “Italiani dell’altro mondo”

«Dopo la laurea in economia e il master in management ne ho frequentati altri in geopolitica e poi in social foresight. La geopolitica in particolare è un aspetto che mi interessa come Ceo dell’azienda. Mi serve per avere informazioni in più, per capire cosa succede con le relazioni internazionali». L’approccio di Valentina Garonzi, 34 anni, Ceo di Diamante, potrebbe valere per qualsiasi imprenditore che – non importa il settore in cui opera – comprende le complessità degli odierni sistemi economici. Tra dazi e guerre chi può permettersi il lusso di ignorare cosa accade nel mondo? A maggior ragione per questa imprenditrice veronese a guida di una biotech attiva in uno degli ambiti che necessitano di continui contatti con l’estero.

Sconto crediti fiscali

Finanziamenti e contributi

 

Da sinistra Linda Avesani, Valentina Garonzi e Roberta Zampieri del team Diamante

Il mantra di una Ceo

Per questa nuova puntata della rubrica Italiani dell’altro mondo l’abbiamo intervistata di ritorno da Boston, dove ha partecipato al BIO International Convention. Nel padiglione italiano organizzato dall’ICE -Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane ha avuto modo di entrare in contatto con un network di potenziali investitori e corporate. «Non si può prescindere dall’estero. Abbiamo tra gli investitori un fondo israeliano con sede negli USA. Nel nostro advisory board contiamo solo membri internazionali».

Come anticipato, Valentina Garonzi ha avuto un ricco percorso di studi, che dall’economia ha spaziato su terreni legati alla geopolitica. La passione e l’interesse per le startup nel frattempo crescevano durante gli anni dell’università. «Quando mi sono iscritta, nel 2010, si iniziava a parlare di startup. Così ho scelto di farci una tesi. Sono diventata membro e poi presidente di una associazione di giovani imprenditori sul territorio». Con il riferimento del padre, attivo con una impresa edile, ha incontrato quella che sarebbe diventata la sua socia durante le interviste per la tesi.

FotoVG

La nascita di Diamante

«C’era uno spin-off che aveva questo progetto molto importante per creare un vaccino per il diabete di tipo 1. Erano riusciti a trovare un investitore, ma le cose non sono andate bene. La storia mi era rimasta in mente, perché un’idea così non poteva rimanere nel cassetto». Nel settore biotech, del resto, la propensione al rischio deve essere particolarmente spiccata. «Linda Avesani mi ha poi ricontattata. Avevano sviluppato un’altra tecnologia e volevano coinvolgermi per il mio background economico».

Si è così formato il primo team di una startup che oggi conta 10 dipendenti e che tra equity e grant ha raccolto quasi 4,5 milioni di euro. «Siamo arrivati in finale al Premio Nazionale Innovazione. Nel 2015 abbiamo fondato Diamante». La società al momento è alla ricerca di un lead investor per un round da 10 milioni di euro (buona parte delle risorse sono state individuate). Ma di che cosa si occupa la società?

Investi nel futuro

scopri le aste immobiliari

 

Stanza crescita semina 2

«Facciamo ricerca e sviluppo pe creare farmaci innovativi per malattie autoimmuni come artrite reumatoide, sclerosi multipla, lupus. Non esistono cure, ci sono trattamenti che però in alcuni casi non sono efficaci. Esiste un forte bisogno di mercato nel dare soluzioni alternative». Dalle innovazioni in questi campi è possibile che spuntino cure per migliorare la vita di milioni di pazienti.

Stanza crescita con piante 2
La tecnologia di Diamante ha permesso di creare una nuova molecola partendo dalle piante

«I farmaci che proponiamo sono basati su induzione di tolleranza immunologica. Quello che abbiamo sviluppato permette di innestare una reazione che educa il sistema immunitario a non attaccare una proteina che riconosce come errata, perché impara a tollerarla. Abbiamo dimostrato in studi pre-clinici che siamo in grado di arrivare alla completa remissione della malattia senza effetti collaterali». La tecnologia ha un legame con le piante come ci ha spiegato la Ceo. «È una nuova molecola costituita da un pezzo di proteina che viene esposto sulla superficie di un virus vegetale. L’altro aspetto innovativo è che per produrre queste molecole non usiamo processi di sintesi chimica, ma le piante».

Gli obiettivi del prossimo round da 10 milioni

Il percorso verso la commercializzazione è ancora lungo. Con le nuove risorse del prossimo round si punta allo studio di fase 1, per dimostrare che il farmaco è sicuro e a uno successivo di fase 2 su un numero di pazienti per dimostrare l’efficacia. La startup ha aperto una facility a Verona e in futuro punta a un ampliamento sul territorio nazionale. Ma connessioni e impegno sono proiettati molto anche all’estero.

Diamante arena
Valentina Garonzi al BIO International Convention di Boston

«I nostri legali per la proprietà intellettuale sono basati a Boston, la città più importante per il biotech negli USA. Il fondo israeliano che ha investito in Diamante è basato a New York. Da sempre partecipiamo a percorsi di accelerazione: sono stata due mesi a Tel Aviv, un mese a Houston e poi in Silicon Valley». I mercati di riferimento sono internazionali: Europa, Stati Uniti e Giappone. «Il nostro intento è creare un network, l’obiettivo è interagire con l’ente regolatorio europeo e poi in futuro con quello americano».

Una biotech ha futuro solo fuori dall’Italia?

Operare dall’Italia può avere i suoi limiti, ma rappresenta anche un punto di forza dati i costi più bassi. «Abbiamo creato una facility in Veneto e l’abbiamo fatto spendendo un quinto rispetto al costo negli USA. I capitali però sono difficili da raccogliere soprattutto dopo il Covid e con tutte queste guerre. Nel biotech i ritorni sono più alti ma è richiesta molta più pazienza. Servono investitori con grande propensione al rischio». Potrebbe dare una mano una maggiore chiarezza lato burocrazia.

Diamante arena 2

«Bisogna parlare la stessa lingua degli investitori esteri. Questo fondo israeliano che ha investito in Diamante non aveva immediatamente capito perché fosse necessario il passaggio da un notaio. È uno svantaggio competitivo importante». Altre difficoltà si notano in fase di fundraising. «Non riusciamo a trovare un lead investor privato, anche per come sono normati gli aiuti di Stato».

Al netto delle difficoltà Diamante ha in programma una strada tracciata e l’estero è senz’altro un’opzione per crescere. «La nostra idea è fare la fase 2 e poi siglare un accordo di ricerca con una casa farmaceutica per arrivare alla commercializzazione. Avendo una tecnologia così particolare puntiamo a costruire una nuova facility. Per costruirla all’estero senz’altro c’è la possibilità. Lo faremo in base alle opportunità».

 

Dilazione debiti

Saldo e stralcio

 





Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link

Finanziamenti personali e aziendali

Prestiti immediati